lunedì 23 aprile 2007

GRAC7AS

GUILLERMO SARA' NOSTRO PER SEMPRE!
La quarta volta che Guillermo Barros Schelotto calpestò l’erba della Bombonera com giocatore di calcio fu una specie di strizzata d’occhio al futuro. Con il diavolo in corpo e un istinto del goleador di razza non ancora tanto sviluppato, il Gemello più famoso del calcio argentino segnò tre gol al Boca Juniors in una domenica di maggio del 1996, giorno della nuova inaugurazione del colosseo xeneize e dimostrò che aveva la stoffa per cambiare casacca. Allora vestiva quella del ‘suo’ Gimnasia y Esgrima La Plata e con un’ispirata miscela di colpi e magie varie umiliò un Boca pieno di stelle che aveva Bilardo in panchina e Navarro Montoya, la Brujita Veron, Kily Gonzales e Caniggia, tra gli altri, nel rinnovato manto verde. Fu uno storico 0-6 e Guillermo, convocato proprio quel giorno per la Seleccion diretta allora da Passarella (collezionerà solo 10 presenze, però…) e con 23 anni appena compiuti, emise una sentenza che pareva predire il futuro: “questa prestazione è per il grande salto…..è stata la partita migliore della mia vita ma ciò che più conta è che così dimostro che mettendocela tutta posso raggiungere i miei obiettivi, anche quelli impensabili….”.
La sua vita sarebbe stata il Boca, di lì a poco. E, oltre che grande attaccante, è diventato, semplicemente, l’IDOLO boquense per antonomasia. Il giocatore più vincente del club più vincente. Una specie di icona vivente. Una sorta di Dio in terra per tutto il popolo xeneize.
Ma torniamo ai suoi inizi in maglia azul y oro. Così racconta proprio Guillermo nella sua pagina internet: “Ai quei tempi tutti parlavano del mio trasferimento. Il River era vicino all’accordo e non sono mai riuscito a sapere il motivo per cui, GRAZIE A DIO, l’accordo non si concluse. Per fortuna, un anno dopo, per la spinta della gente del Boca, del ‘Bambino’ Veira (l’allora DT) e, in particolare, di Maradona io, mio fratello Gustavo e Martin Palermo arrivammo al Boca. Diego era decisissimo. Ci chiamava al telefono per dirci di mettere pressione ai nostri dirigenti, parlava al telefono con Macri ed ogni volta che aveva la possibilità di parlare per radio e per tv diceva che dovevamo andare al Boca. Alla fine riuscì nell’intento”.
Certo non gli mancò un padrino, a Guillermo. E nemmeno concorrenti importanti. “Non fu semplice trovare posto in squadra…allora c’erano Maradona, Caniggia, Latorre, Manteca Martinez, il messicano Luis Hernandez e Palermo. Il giorno del debutto (14 settembre 1997, contro il Newell’s alla Bombonera) entrai nel secondo tempo, toccai la palla una o due volte e segnai un gol. Un minuto dopo tutto lo stadio cominciò a gridare “Guillermo………Guillermo………..”…davvero, non potevo credere che stesse capitando a me con tutti grandi giocatori che erano in campo quel giorno. Credo che quella partita abbia molto a che fare con la meravigliosa relazione che ho con la gente del Boca”. Qualcosa doveva comunque succedere per far scomparire tutti i fantasmi intorno alla maglia numero 7. Quel qualcosa ha un nome: Carlos Bianchi. “Con il suo arrivo, nell’Apertura 98, riuscii a consolidarmi come titolare. All’inizio della stagione, el Virrey prese da parte me e Martin nello spogliatoio e ci disse che saremmo stati titolari per tutte le diciannove giornate del campionato, sia che avessimo giocato bene, sia che avessimo giocato male”. L’idea di Bianchi, forse un rischio, si rivelò giusta. Nel libro “El Ultimo Virrey – Carlos Bianchi” l’autore Miguel Angel Rubio racconta di una chiacchierata con il tecnico durante il Mundial in Francia, poco prima della firma di Carlitos con il Boca. Durante la stessa, il tecnico disse: “Voglio dar continuità a Guillermo e a Palermo. Li trovai come rivali quando allenavo il Velez e sono molto difficili da marcare. Voglio far ruotare il gioco intorno a loro, voglio che si sentano importanti”.
Bianchi quindi lasciò un po’ da parte Caniggia e Latorre e, con Riquelme come ‘enganche’ e con Barros Schelotto e Palermo davanti, il Boca diede categoricamente ragione al tecnico: vinse, imbattuto, il torneo. La prima volta del Mellizo. E poi Apertura 99. E poi, nell’Anno Domini 2000, Copa Libertadores, Copa Intercontinental e Apertura nello stesso anno.

Ecco il Mellizo: “Ricordo che dopo l’ultimo rigore nella finale contro il Palmeiras tutti andarono verso Cordoba (portiere pararigori!) ma io mi fermai con Traverso a metà campo. Ci guardammo dieci secondi e poi ci abbracciammo. L’emozione fu spettacolare. Ma in quel momento, sentii che ancora mancava l’Intercontinentale. Giocare in Giappone era sempre stato il mio sogno. Le vidi tutte, le finali al mattino, a casa mia….Independiente vs Liverpool, Argentinos vs Junventus, River vs Steaua. Arrivarci era un sogno. Ma ebbi sfortuna. Mi feci male prima della partita contro il Real Madrid, tardai a recuperare e non riuscii ad essere titolare. Un’amarezza tremenda. Fu come stare nove mesi in gravidanza e perdersi il parto. Ovviamente mi sentii comunque campione e riuscii a giocare qualche minuto. Per fortuna tornai in Giappone nel 2001 e nel 2003…..”.
Di sogno in sogno, con alcuni piccoli incubi legati agli infortuni, Guillermo Barros Schelotto ha scritto un grande pezzo di storia del Boca. Quella che curiosamente cominciò con la maglia di un’altra squadra e con tre gol che fecero soffrire tutta la Bombonera e milioni di tifosi. Nulla resta di quell’affronto: il Mellizo ha risarcito con gol, diavolerie e giri d’onore quel piccolo peccato di gioventù…..


“E’ come averti perso, fratello. Sì, lo so che continui ad esserci in questo piccolo mondo, così come noi, ma sento che è come se tu fossi morto. Ovvio, che stupidaggine! Nessuno può paragonare la partenza di un giocatore perché qui non può giocare con la scomparsa fisica di una persona! Ma il cuore non ragiona e certo non mi va di ragionare proprio adesso. Proprio ora che sbatti la porta, ma senza protestare. Con più tristezza che rabbia. Te ne vai, Guille…..questa è la storia.
E’dura ammettere che quella maglia numero sette non la vestirà più Guillermo. Ma a volte il passare del tempo ti sbatte in faccia la realtà in tutta la sua potenza, in tutta la sua indifferenza.
Una gioia egoista, quella che abbiamo vissuto con Guillermo. I nostri nipoti andranno a conoscere, dalla nostra bocca, i racconti su Guille. Certo, scriveranno libri, pubblicheranno riviste, ma nulla sarà comparabile ai racconti dei nonni! O dei papà. Vincere, perdere, in fondo è lo stesso. Perché senza perdere non si capisce bene cosa sia vincere. Vincere, perdere, che importa ora. Oggi se ne va la storia, sì…sempre la storia. Che è ciò in cui uno si trasforma quando da bimbo cresce e passa dall’abbraccio dell’uscita del liceo fino ad arrivare all’indifferenza del “che stai facendo, vecchio?”.
Già…Guillermo Barros Schelotto è figlio del Boca. Siamo suoi padri, suoi fratelli, suoi consiglieri, suoi tifosi, le sue illusioni. E GUILLERMO E’ IL NOSTRO STEMMA.

E’andato per tornare ma che importa….Guillermo sarà nostro per sempre.”

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Sei tornato in pompa magna!

Mero ha detto...

Bellissimo articolo, complimenti davvero...nella seconda parte hai scritto esattamente ciò che pensavo...

curiosità: in Argentina non si usa ritirare i numeri di maglia? Credo che lui meriti un'eccezione..

Dario Alberto ha detto...

A proposito di ritirare la maglia....in Argentina se ne sta parlando di ritirare la maglia del Melli....
Il DT Russo ha dichiarato che "sta nella logica ritirarne la maglietta ma non è una decisione che spetta alla società ma alla gente".
Bene, ritratela, allora!

Dario Alberto ha detto...

Intendevo....RITIRATELA.
Ma avevate capito....